Quanti ETF nel mio portafoglio? Luca Spinelli, esperto consulente finanziario indipendente, prova a rispondere

Gli Exchange Traded Fund sono passati da curiosità di nicchia a protagonisti assoluti dei mercati europei: poco più di trecento prodotti a metà degli anni Duemila, oltre tremila oggi, con masse in gestione che superano i mille miliardi di euro. Ogni giorno un provider lancia un nuovo veicolo «low-cost» costruito su temi che vanno dall’intelligenza artificiale ai metalli rari, promettendo coperture miracolose o rendimenti decorrelati. Nel cassetto dell’investitore medio la conseguenza più visibile è un mosaico di ticker difficili da decifrare, spesso scelti sull’onda di campagne pubblicitarie accattivanti o di newsletter che spingono a «non perdere il prossimo treno». Quella che avrebbe dovuto essere una soluzione semplice rischia così di diventare un rompicapo gestionale.

Dal concetto di asset allocation al rischio di sovrapposizione

L’asset allocation originaria divideva il capitale tra azioni, obbligazioni e liquidità per ridurre la volatilità complessiva. L’arrivo degli ETF ha moltiplicato in modo esponenziale le combinazioni possibili, ma la logica di base rimane invariata: proteggere il potere d’acquisto distribuendo il rischio su fonti di rendimento diverse. Aggiungendo strati su strati di esposizioni geografiche e settoriali, però, si finisce spesso per acquistare due o tre volte gli stessi titoli. Un ETF MSCI World condivide oltre il sessanta per cento di capitalizzazione con uno S&P 500; se a questi si somma un prodotto «Blue Chip USA» il problema si aggrava, mentre la sensazione di essere diversificati cresce solo a livello psicologico.

L’illusione della copertura totale

Colmare ogni varco geografico, racchiudere ogni nicchia tematica, replicare fattori come value, momentum e low volatility può sembrare la strada verso la perfezione. In realtà ogni nuova linea introduce costi di transazione, bid-ask spread più larghi, monitoraggio più complesso e – soprattutto – un maggiore rischio di comportamento gregario: quando i mercati scendono, portafogli costruiti con mattoncini troppo simili crollano in sincronia. La copertura davvero efficace punta alla differenziazione dei fattori di rischio, non al loro accumulo indiscriminato.

La metodologia Spinelli: tre domande prima di aggiungere un ETF

Obiettivo: quale problema risolve

Luca Spinelli comincia sempre dal perché. Se il portafoglio genera già il rendimento atteso entro una volatilità sostenibile, l’acquisto di un nuovo ETF può essere superfluo. Se invece un’area strategica – per esempio i mercati emergenti o il credito corporate investment grade – risulta sottoesposta, uno strumento a replica passiva può colmare il divario con efficienza.

Sovrapposizione: quali asset già detengo

Un semplice foglio Excel con gli ISIN e i pesi di ogni strumento rivela immediatamente dove si nascondono duplicazioni. Un ETF all-cap globale contiene gran parte delle blue chip presenti in molti prodotti settoriali «core». Se la sovrapposizione supera il cinquanta per cento, la scelta più logica è sostituire, non sommare.

Efficienza: quale impatto sui costi

Il Total Expense Ratio racconta solo metà della storia. Quando la liquidità quotidiana è scarsa, lo spread denaro-lettera erode rapidamente i vantaggi di un TER competitivo. Spinelli consiglia veicoli con scambi medi superiori ai dieci milioni di euro e raccomanda ordini limit per minimizzare il costo implicito.

Caso studio: da dieci a quattro ETF senza perdere esposizione

Un risparmiatore brianzolo, profilo moderato, presenta a Spinelli un portafoglio con dieci ETF: due globali, due regionali, tre settoriali, un obbligazionario investment grade, un high yield e un monetario. L’analisi dei dati mostra correlazione media pari a 0,82 e spesa totale dello 0,34 per cento l’anno. Al tempo stesso la volatilità storica resta sopra il dieci per cento: troppi mattoni, poco equilibrio.

Il percorso di snellimento

Usando la matrice di correlazione, i due ETF globali vengono fusi in un solo prodotto a replica fisica con copertura valutaria parziale. I regionali, già largamente inclusi nel nuovo nucleo, escono di scena. Dei tre settoriali sopravvive soltanto l’health-care, il più decorrelato dal ciclo economico. Sul fronte obbligazionario, un aggregate globale sostituisce i due fondi a rendimento fisso e il monetario, invariabilmente in perdita reale, viene liquidato. Il risultato: quattro linee, spese scese allo 0,18 per cento e rischio ridotto di un quarto, senza sacrificare rendimento atteso.

Vantaggi intangibili di un portafoglio più snello

Meno fondi significano meno segnali rumorosi. Eventuali deviazioni dai pesi target saltano subito all’occhio e il ribilanciamento costa meno. Il cliente comprende la logica sottostante, percepisce controllo e trasparenza e resiste meglio alle fasi di volatilità. Dal punto di vista del consulente, la semplicità operativa libera tempo per analisi qualitative e aggiornamenti normativi, mentre la piattaforma di rendicontazione guadagna chiarezza.

Quante linee servono davvero

Per la maggioranza degli investitori retail, una combinazione di tre ETF – azionario globale, obbligazionario aggregate e real estate quotato – offre già un’esposizione robusta a fonti di rendimento diversificate. Portafogli più sofisticati possono spingersi a cinque o sei veicoli, inserendo fattori come small cap, value o strategie a bassa volatilità. Oltre questa soglia i benefici marginali si assottigliano e i costi impliciti tornano a crescere, rendendo vana la ricerca del «prodotto perfetto».

Una call to action per il lettore

Chi riconosce nel proprio dossier una collezione di ETF accumulati nel tempo può prenotare un check-up gratuito nello studio Spinelli di Monza. Servono l’estratto conto e trenta minuti di conversazione per scoprire duplicazioni, costi nascosti e margini di semplificazione. Ridurre il numero di linee non equivale a rinunciare alla diversificazione, bensì a ristabilire coerenza tra strategia e strumenti. In un mercato che premia velocità di esecuzione e chiarezza di visione, la semplicità diventa l’arma competitiva più potente.